Intervento di Fast Track e anestesia

intervento di Fast Track e anestesia

Nel settaggio del percorso Fast Track o rapido recovery come vogliamo definirlo per i pazienti sottoposti ad intervento di protesi di ginocchio e di anca l’anestesia riveste un ruolo fondamentale.

Potremmo dire ad oggi che il ruolo dell’anestesia è quello che ha reso possibile il fast truck è quello che ha cambiato il volte del percorso clinico nella protesica di anca e di ginocchio.

Ad oggi noi utilizziamo delle spinali short cioè di breve durata perchè gli interventi chirurgici sono effettivamente rapidi che vengono associate a dei blocchi periferici spesso eco guidati che permettono al paziente di essere in grado di camminare già nell’immediato post operatorio, cioè di avere il controllo del tono muscolare ma di non avere il dolore.

Sono quindi delle tecniche anestesiologiche selettive che permettono di eliminare il dolore nel nell’immediato post operatorio.

Il Dottor Francesco Verde è specializzato nella chirurgia dell’Anca e Ginocchio utilizzando tecniche mini-invasive.

InfoLine:  +39 349 8519812

La scelta della protesi di ginocchio

La scelta della protesi di ginocchio è una decisione correlata sia alla gravità del processo artrosico sia al paziente stesso. Non siamo tutti uguali, e pertanto questa diversità deve essere presa in considerazione durante la pianificazione pre-operatoria.

Quando noi parliamo di protesica di ginocchio effettivamente dovremmo fare immediatamente riferimento a una delle diverse opzioni che le protesi design ci offrono oggi per risolvere il problema dell’artrosi. E’ chiaro che non tutti i pazienti sono uguali non tutte le artrosi del ginocchio sono uguali e pertanto anche la scelta dell’impianto dovrebbe essere condizionata dalla gravità del processo artrosico che condiziona il singolo ginocchio.

Il chirurgo dovrebbe accompagnare pertanto il paziente per mano a trovare quella che la soluzione più corretta questo non vuol dire che il paziente si trova nella condizione di poter scegliere ma il chirurgo lo può fare sapientemente e può trovare una soluzione che possibilmente meno invasiva nell’ottica della conservazione dell’integrità del ginocchio e del ripristino di una funzionalità che sia più vicina alla normalità.

Questo non è semplicemente il giudizio che è legato ad un aspetto visivo cioè guardiamo una protesi e siccome è più piccola e meno invasiva allora immaginiamo che debba funzionare al meglio questo è anche l’oggetto di studio di diversi lavori di biomeccanica articolare e di gait analysis cioè di analisi del passo che hanno dimostrato che le protesi compartimentali a conservazione del crociato anteriore o che si tratti della mano compartimentale mediale o laterale o femoro rotulea o mono più femoro rotulea o bimono funzionano effettivamente meglio delle protesi totali.

Dottor Francesco Verde
Chirurgo Ortopedico – Napoli – Milano

 

La chirurgia protesica di ginocchio “personalizzata”

La chirurgia protesica di ginocchio “personalizzata”

Il problema culturale

L’artrosi del ginocchio (o gonartrosi) è una patologia molto diffusa nel mondo, seconda per numeri solo a quella che coinvolge le vertebre. Consiste nella progressiva degenerazione della cartilagine articolare e colpisce più frequentemente la popolazione femminile e coloro che hanno più di cinquant’anni.

Indipendentemente dalle cause che la provocano, il risultato è che il paziente perde progressivamente capacità di movimento e percepisce dolore quotidianamente e con un’intensità variabile.

Il trattamento della gonartrosi, nelle fasi iniziali, prevede l’utilizzo di farmaci antinfiammatori e di terapia fisica (fig.1).

 

Fig.1; Pillole a sin. Apparecchio per Elettromagnetoterapia a dx

Col progredire della stessa si può fare uso di infiltrazioni di Ac Ialuronico (viscosupplementazione) mentre si sta diffondendo la pratica di utilizzo di Pappe Piastriniche (PRP)  e cellule staminali estratte dal grasso (Lipogems) (fig.2).

Fig.2; PRP a sin. Kit per Lipogems a dx.

Questo tipo di trattamenti hanno però un razionale d’impiego limitato ai gradi iniziale e moderato della patologia. Quando l’artrosi evolve nel grado severo l’unica soluzione è l’intervento chirurgico di protesi di ginocchio.

Ad oggi nell’immaginario collettivo il trattamento chirurgico della gonartrosi consiste sostanzialmente nell’impianto di una protesi totale di ginocchio.

Tale visione è in realtà fuorviante perché sostanzialmente non corretta.

Allo stato attuale delle conoscenze in chirurgia protesica esistono diversi tipi di impianti protesici di ginocchio che vanno dalla protesi monocompartimentale alle protesi combinate ( mono + femoro-rotulea), passando attraverso le protesi Bimonocompartimentali fino ad arrivare alle protesi totali di ginocchio.

In aggiunta, all’interno della stessa categoria di protesi totali, ne esistono di diversi tipi in funzione del design del grado di invasività e di vincolo e con una base biomeccanica diversa.

Il razionale che muove la scelta del singolo tipo di impianto deve essere una valutazione qualitativa e quantitativa dell’artrosi di ginocchio e di conseguenza una scelta mirata dell’impianto in funzione del tipo di artrosi e delle aspettative funzionali del singolo paziente.

A guardar bene la chirurgia protesica di ginocchio mosse i suoi primi passi negli anni ’50 con degli impianti compartimentali.

Il principio su cui si basavano era poco più che intuitivo e si fondava sul ricostruire anatomicamente l’articolazione.

A quel tempo la scarsa qualità dei materiali e dei design degli impianti protesici, la quasi totale assenza di valutazione critica sulle singole indicazioni, oltre alla mancanza pressochè completa di strumentari e di conoscenze in merito alla tecnica chirurgica causarono un enorme numero di fallimenti, talvolta disastrosi.

Ma negli anni ’70 i buoni risultati dei primi impianti di protesi totali a sacrificio del crociato posteriore spinsero i più ad abbandonare la sfida di una ricostruzione più anatomica e fisiologica dell’articolazione a favore di una soluzione più sicura sul piano dei risultati. 

Da allora per oltre 30 anni la chirurgia compartimentale è rimasta appannaggio limitato di convinti sostenitori del principio che considera il ripristino dell’anatomia del ginocchio il fondamento di una chirurgia evoluta che si basa sulla ricostruzione della biomeccanica articolare.

Sul piano culturale questo ha prodotto due immediate conseguenze:

  • Ha allontanato gli stessi chirurghi e soprattutto i pazienti dalla chirurgia protesica.
  • Ha diffuso un senso comune di inadeguatezza della chirurgia compartimentale rispetto alle protesi totali.

Nell’immaginario collettivo è rimasta, perciò, l’idea di una chirurgia da praticarsi il più tardi possibile e solo in condizioni disastrose.

D’altro canto, lo spettro di dover eseguire una revisione nel corso della propria vita, era tutt’altro che incoraggiante.

Ad oggi il miglioramento dei materiali e del design degli impianti protesici oltre alla diffusione su larga scala dei risultati delle casistiche di impianti sia mono che totali ha portato ad una nuova valutazione complessiva dell’orizzonte protesico.

Il problema Qualitativo nella valutazione dei risultati

Nel corso della storia di questa chirurgia si sono succeduti lavori scientifici che hanno mostrato risultati del tutto contrastanti a favore e contro le protesi monocompartimentali.

Per questa ragione nel ventennio che va dagli anni ’90 al 2010, le indicazioni per un impianto di protesi monocompartimentale sono rimaste rinchiuse in un ambito ristretto di casi tra la chirurgia della osteotomie e quella delle protesi totali.

Fig.3; Indicazioni in funzione del grado artrosico

Nei primi anni 2000 gli ottimi risultati delle curve di sopravvivenza al follow-up delle casistiche di protesi monocompartimentali prodotte dai centri di maggiore “expertise” ha acceso una nuova luce sul loro impiego.

Fig.4; Studio di sopravvivenza a lungo termine di Protesi monocompartimentali.

Dall’altra parte, l’analisi qualitativa e non più solo quantitativa dei risultati delle protesi totali di ginocchio, ha fatto emergere un gap di soddisfazione da parte dei pazienti che ha portato ad una nuova valutazione complessiva delle indicazioni chirurgiche.

In effetti per molti anni, il criterio dominante di valutazione dei risultati degli impianti protesici in generale si è basato su un criterio solo quantitativo: il numero di revisioni all’interno di ciascuna casistica in studio.

L’utilizzo infatti del metodo di Kaplan Meyer per la valutazione statistica dei risultati si fonda su un unico criterio: la revisione come indice di fallimento.

Fig.5;Diverso tasso di fallimento tra Mono (sin) e PTG (dx). Dati del registro svedese.

 

I dati in questo modo raccolti danno una visione non qualitativa del funzionamento dei singoli impianti all’interno di ciascuna casistica.

In altre parole, in questo modo sappiamo quante protesi sono fallite, e pertanto quanti pazienti sono stati sottoposti ad intervento di revisione, ma non sappiamo nulla su come stanno effettivamente tutti gli altri pazienti, non revisionati, all’interno delle singole casistiche.

Tutto ciò ha portato ad una nuova visione analitica dei risultati delle protesi secondo un criterio questa volta di “Evidence Based Medicine” ( medicina basata sull’evidenza o EBM) cioè utilizzando dati rilevati dagli stessi pazienti (PROMs: patient reported outcome measures e PREMs: patient reported experience measures).

L’attenzione, in questo modo, si è spostata o, per meglio dire, è tornata sui pazienti e non più sulle protesi in quanto tali.

Ciò che è emerso, è che, se da una parte è vero che le protesi totali di ginocchio sono soggette ad un minor numero di revisioni per fallimento, rispetto alle mono manifestano un tasso di insoddisfazione più alto da parte dei pazienti che varia a seconda delle casistiche tra il 10 e il 30%.

In altre parole, vi è un’ampia parte dei pazienti studiati con la Kaplan Meyer che non sono stati revisionati, e perciò non ritenuti un fallimento, ma che non funzionano soddisfacentemente.

Il che da un punto di vista qualitativo corrisponde ad un fallimento!

Il perché essi non vengano revisionati apre uno scenario ben più complesso che coinvolge anche la mentalità dei chirurghi, molto più orientati a revisionare precocemente un impianto monocompartimentale rispetto ad una protesi totale.

Il problema dell’insoddisfazione è uno degli ambiti di studio più complessi in chirurgia protesica.

La soddisfazione intesa come soddisfacimento delle aspettative individuali rispetto alla protesi è un problema che non offre alternative di cura: l’insoddisfazione non si cura!

Tale insoddisfazione è legata a diversi fattori di cui uno dei principali è ovviamente il dolore cronico.

Studi recenti, che hanno focalizzato l’attenzione sull’analisi del dolore dopo protesi di ginocchio, hanno messo in luce un mondo più complesso di quello analizzato con la vecchia Kaplan Meyer.

Il dolore che deriva dall’artrosi e che nell’immaginario del chirurgo si risolve con il trattamento chirurgico in realtà spesso si protrae dopo l’intervento per mesi e, in alcuni casi, con un’intensità variabile, può assumere carattere cronico.

E’ chiaro che il dolore cronico ha un impatto sulla psiche del paziente operato, ma la percezione dello stesso è molto difficile da analizzarsi essendo condizionata da un’esperienza personale e, soprattutto, essendo legata all’universo emotivo soggettivo.

Questo, infatti, coinvolge anche l’ambito psicologico individuale e pertanto fattori che esulano dalla tecnica chirurgica. 

Il dato di insoddisfazione dei pazienti portatori di protesi totali ha aperto una nuova luce sui principi biomeccanici della tecnica chirurgica di impianto e sul design protesico.

La discussione sulla validità di un criterio di scelta di allineamento della protesi, meccanico o anatomico o cinematico o costituzionale, è ancora aperto. Così come è ancora aperta la discussione sul principio di scelta di un impianto a conservazione o a sacrificio del legamento crociato posteriore e, soprattutto, su come detti fattori possano condizionare l’outcome dei pazienti.

In altre parole la scoperta dell’insoddisfazione dei pazienti ha finito per mettere in discussione la modalità, per così dire, d’impianto di una protesi e la scelta del modello stesso di protesi da utilizzare.

Nel frattempo anche i chirurghi più tradizionalmente restii ad accettare la validità della chirurgia protesica compartimentale hanno iniziato a farne uso.

Il risultato è che chirurghi più tradizionali con percentuali di impianto del 100% di Protesi Totali di Ginocchio a sacrificio di entrambi i crociati hanno ammesso ad oggi un 30% di impianti compartimentali.

Fig.6; Indicazioni chirurgiche in funzione dell’artrosi di ginocchio

Tale dato è una accettazione indiretta della validità dei risultati  della chirurgia compartimentale emersi dalla letteratura scientifica.

Il principio di una scelta mininvasiva che preveda la preservazione dell’integrità strutturale del ginocchio, come quella compartimentale, è probabile che possa avere minore impatto sulla percezione dei pazienti e sul livello di soddisfazione conseguentemente.

Fig.7;Distribuzione percentuale delle cause di fallimento nelle PTG (TKA) e nelle PMG(UKA)

Purtroppo questa osservazione rischia di essere solo presuntiva dal momento che il numero di impianti monocompartimentali di ginocchio è ancora largamente al di sotto delle reali indicazioni.

In condizione di più corretta distribuzione delle indicazioni all’interno della popolazione gli scenari possibili potrebbero essere due.

Una riduzione complessiva del tasso di insoddisfazione o una ridistribuzione dello stesso dovuto ad un aumento percentuale nel campo delle mono.

Tale modello è, d’altro canto, fin troppo semplicistico non prendendo in considerazione in alcun modo l’elemento umano, legato all’expertise chirurgica, nella valutazione dei risultati.

Per capire esattamente quanto tale fattore conti, basta confrontare i risultati delle casistiche di studio di sopravvivenza a lungo termine delle protesi di ginocchio, sia mono che totali, rispetto ai dati che emergono dai registri nazionali

Se da un lato i buoni risultati degli studi pubblicati in letteratura hanno dato una spinta decisiva verso la diffusione e l’evoluzione della chirurgia protesica dall’altra parte il tasso di fallimenti emersi dai registri ha posto però l’accento sull’impatto che la diffusione della tecnica chirurgica ha sulla popolazione dei chirurghi con minore esperienza.

I Registri Nazionali, in tal senso, danno uno spaccato molto più vicino alla realtà dello stato dell’arte, per così dire, all’interno di un dato Paese, in relazione a quel tipo di chirurgia.

I dati che emergono mostrano tassi di fallimento delle protesi, sia mono che totali, ben diversi da quelli pubblicati dai centri di massima expertise (fig.5).

Studi recenti hanno dimostrato quanto, nella pratica comune quotidiana, un basso numero di impianti protesici per anno, in un determinato ospedale, si sposi con un più alto tasso di complicanze e fallimenti protesici rispetto ad un Centro di maggiore expertise che effettua alti volumi di impianti per anno.

Questo dato che è piuttosto intuitivo, spiega esattamente quello che accade all’interno dei Registri Nazionali.

La maggior parte degli impianti, infatti, è effettuato in un alto numero di centri, sparsi su tutto il territorio nazionale, che effettuano meno di 50 impianti/anno e che sono gravati da un tasso di fallimento ben più alto!

Nonostante tutto esiste ad oggi un enorme gap culturale in questo ambito che relega la scelta di un impianto compartimentale alla sola opzione protesi mono mediale di ginocchio e solo in alcuni casi.

Anche questa visione è assolutamente insufficiente ad una valutazione moderna quali-quantitativa della patologia artrosica e dei suoi possibili trattamenti.

Alle nuove generazioni di chirurghi il compito di allargare i propri orizzonti culturali per una chirurgia via via più evoluta.

La degenerazione artrosica e le soluzioni “personalizzate

La degenerazione artrosica primitiva o secondaria del ginocchio è un ambito complesso. Il presupposto da tenere in mente è che il ginocchio è un’articolazione di carico e pertanto è gravata da sollecitazioni meccaniche importanti e può usurarsi.

Le sollecitazioni meccaniche variano in primis in funzione del “morfotipo” e secondariamente di altre variabili, diremmo secondarie, quali il peso, il tipo di attività di movimento, i traumi e gli eventuali interventi chirurgici conseguenti.

Il principio di base è che ciascun paziente è dotato di un morfotipo che rappresenta la base meccanica su cui si inscrivono le variabili secondarie indipendenti che possono condizionare l’evoluzione artrosica nel tempo.

Il morfotipo veicola il carico sul ginocchio e di conseguenza   condiziona il tipo di artrosi che ne consegue. Più banalmente è visualizzabile come la forma delle “gambe”.

Nella popolazione distinguiamo un morfotipo varo e un morfotipo valgo. Tale considerazione per lo più è una valutazione bidimensionale ma è utile per esemplificare l’algoritmo dei possibili trattamenti.

Perciò il morfotipo varo, ginocchio da “cavaliere”, condiziona un carico maggiore sul compartimento interno o mediale del ginocchio mentre il valgo, ginocchio a “X”, sul compartimento esterno o laterale. Meno frequentemente il morfotipo appare essere “neutro” con una conseguente distribuzione dei carichi simmetrica, ma tale considerazione essendo basata per lo più su una lastra bidimensionale è molto empirica.

E’ evidente che la sollecitazione meccanica sul compartimento interno o esterno condiziona la sede d’inizio della degenerazione artrosica.

In taluni casi, meno frequentemente, la patologia può interessare prima l’articolazione femoro-rotulea del ginocchio, “la parte anteriore”.

Fig.8; Rappresentazione del morfotipo.

Ne viene che nel varo ci potrà essere più probabilmente una indicazione, nelle fasi precoci dell’artrosi, ad una mono mediale e nel valgo ad una mono laterale. Sempre per lo stesso principio in caso di localizzazione anteriore, alla femoro-rotulea, l’indicazione sarà più probabilmente ad una protesi femoro-rotulea isolata.

 

Fig.9; Artrosi femoro-rotulea isolata bilaterale simultanea e successivo trattamento.

 

In tal senso l’indicazione ad una protesi monocompartimentale nasce di logica prima di quella per una protesi totale in ordine di tempo. Dal momento che la patologia artrosica è una patologia degenerativa cronica, gli altri compartimenti del ginocchio verranno ad essere interessati solo successivamente in ordine di tempo e pertanto anche la corretta indicazione ad una protesi totale del ginocchio.

Mentre una patologia inizialmente localizzata in entrambi i compartimenti femoro-tibiali o in un compartimento femoro-tibiale e nel femoro-rotuleo o addirittura in tutti i compartimenti è altrettanto possibile ma meno frequente.

Per cui si può assumere che come linea di massima il processo di degenerazione artrosica che si sviluppa e progredisce nel tempo lascerà spazio prima ad impianti più conservativi.

Sempre per questa logica di conseguenza il numero di impianti compartimentali dovrebbe essere di gran lunga superiore alle protesi   totali. In qualche caso, meno frequentemente, come abbiamo detto, la patologia potrebbe interessare ben due compartimenti su tre del ginocchio contemporaneamente. Le possibili combinazioni in questo caso sarebbero: compartimento mediale e laterale, ad esempio in un ginocchio ad asse neutro, o compartimento mediale e femoro-rotuleo, infine compartimento laterale e femoro-rotuleo.

In queste evenienze l’indicazione sarà per una protesi Bimono, nel primo caso, Mono mediale + femoro-rotulea nel secondo caso e Mono laterale + femoro rotulea nel terzo caso.

Questi impianti vengono identificati come protesi Bimonocompartimentali, nel primo caso e  Bi-Compartimentali nei rimanenti.

Fig.10; Immagine intra-operatoria di un impianto Bimonocompartimentale (sin) e due impianti Bicompartimentali (centro e dx).

Tali combinazioni arricchiscono enormemente lo spettro dei possibili trattamenti che a questo punto possono effettivamente essere personalizzati in funzione del proprio quadro clinico.

Al limite e solo in casi ben selezionati è possibile associare tre impianti compartimentali contemporaneamente.

Tale opzione è in realtà troppo complessa per essere considerata come ordinaria.

E’ però possibile realizzare una protesi tricompartimentale, come risultato di una revisione di una protesi bimonocompartimentale o di una Bicompartimentale per usura del terzo compartimento non protesizzato. Complessivamente abbiamo così elencato 7 possibili soluzioni che precedono o integrano l’offerta per l’artrosi di ginocchio prima di considerare un impianto di protesi totale a conservazione di entrambi i legamenti crociati.

Fig.11; Le diverse opzioni protesiche di ginocchio.

La 9° opzione, la protesi totale di ginocchio, di logica dovrebbe trovare spazio in quei casi che non hanno goduto delle soluzioni precedenti, al momento giusto, o laddove la patologia ha coinvolto da subito tutti i compartimenti.

Tale eventualità se non è il risultato di una scelta filosofica che nega alla chirurgia compartimentale una sua validità, al di là degli indubbi risultati scientifici di biomeccanica articolare pubblicati in letteratura, trova solo due possibili giustificazioni: o i pazienti non hanno manifestato disturbi alle ginocchia tali da indurli ad una visita ortopedica precoce o i chirurghi che li avevano in cura hanno optato per una visione più “tradizionale” e attendista sull’artrosi negando anche la semplice informazione relativa alle reali opzioni chirurgiche precoci e meno invasive.

La chirurgia a Conservazione/Ricostruzione dell’LCA

Per definizione parliamo di una chirurgia che fonda le proprie basi di interesse a preservare dove possibile il LCA.

Tale visione è il principio non scritto di fondo su cui si basa la chirurgia compartimentale e mininvasiva.

L’assunto è che con mininvasività si intenda, appunto, un approccio al rispetto delle strutture nobili e ancora funzionanti del ginocchio.

La validità di questo assunto si trova nei risultati dei lavori di biomeccanica articolare e “gait analisys” o analisi del passo che mostrano un vantaggio evidente in termini di maggiore approssimazione alla normale fisiologia articolare delle protesi a conservazione (protesi compartimentali) rispetto a quelle a sacrificio dell’LCA ( protesi totali di ginocchio) .

E’ evidente che per poter eseguire questo tipo di chirurgia il presupposto logico è che il LCA sia integro o comunque conservato.

E’ chiaro che è più facile che sia così nelle fasi precoci della patologia artrosica, ovverossia prima che il processo di degenerazione articolare coinvolga anche il LCA causandone la rottura.

In alcuni casi di pazienti giovani artrosici, laddove l’LCA risulti rotto come conseguenza di un trauma, è programmabile una ricostruzione contestualmente all’impianto di una protesi monocompartimentale. Tale evenienza, cioè quella di combinare l’impianto di una protesi è fattibile solo a patto di un’artrosi che coinvolga il solo compartimento interno, più frequentemente, o esterno e quindi di una mono  mediale o laterale con ricostruzione simultanea dell’LCA.

  

Fig.12; A sin. fase artroscopica dell’intervento con legamento artificiale in sede. A dx impianto Mono + LCA a 12 anni di sopravvivenza.

Tale eventualità non è così frequente ma offre dei risultati eccellenti.  La scelta del trapianto da utilizzare come nuovo LCA, agli inizi era caduta sul tendine rotuleo autologo (cioè prelevato dallo stesso paziente) e successivamente sui semitendini (Gracile e Semitendinoso). Successivamente si è ritenuto più vantaggioso per il paziente l’utilizzo di trapianti da cadavere o di tendini artificiali che al momento, per questo tipo di chirurgia, rappresentano il gold standard, perché di facile approvvigionamento e conservazione.

Al limite, e solo in casi ben selezionati, si può estendere l’indicazione ad un impianto bimono con ricostruzione simultanea dell’LCA, anche se tale ambito appare troppo complesso per poterlo considerare una chirurgia routinaria.

Le protesi totali di ginocchio

Ma cosa succede quando l’indicazione è per una protesi totale?

La prima considerazione da farsi in questo caso è con che frequenza il LCA è regolarmente presente in pazienti con una degenerazione articolare bi-tricompartimentale. Da diversi studi si evince che esso è  presente in circa il 70% dei casi.

In alcuni di questi casi si potrà optare per un impianto di protesi totale a conservazione del LCA.

   

Fig.13; Protesi totale di ginocchio a conservazione dei legamenti crociati

Questi impianti sono tecnicamente più complessi ma offrono potenzialmente dei risultati clinici migliori se ben eseguiti.

In effetti storicamente sono gli impianti con cui è iniziata la chirurgia protesica di ginocchio. All’origine infatti il criterio era quello di rispettare l’anatomia .

Ad oggi stanno vivendo un rinnovato interesse da parte delle case protesiche anche se rimangono una chirurgia per chirurghi esperti. Nei casi in cui invece il legamento crociato anteriore sia degenerato o rotto l’indicazione cade su un impianto di protesi totale del ginocchio a conservazione del legamento crociato posteriore (LCP) o CR (cruciate retaining) o a sacrificio dello stesso o PS (posterior stabilized).

Per alcune decadi la scelta è caduta sulle protesi PS. Tale soluzione è stata condizionata negli anni dalla necessità di standardizzare la tecnica chirurgica rendendola più semplice e pertanto alla portata di Tutti i Chirurghi. I principi di tecnica chirurgica alla base di questo tipo di impianti, ritenuti la Bibbia della chirurgia protesica, sono stati progressivamente scardinati dalle nuove acquisizioni in termini di allineamento meccanico e rotazionale.

La soluzione definitiva, lungi dall’essere stata raggiunta, ha però spostato l’attenzione progressivamente verso una chirurgia a conservazione del LCP e con principi di allineamento meccanico più vicini all’anatomia del ginocchio.

I più accaniti sostenitori di una chirurgia tradizionale volta al sacrificio del LCP ha visto sconfessare alcuni dei principi fondamentali di impianto e spostato di conseguenze la propria attenzione verso alternative quali gli impianti a “Medial pivot” che prevedono un “parziale sacrificio” del LCP.

Ad oggi la comunità chirurgica è divisa pressochè equamente tra i sostenitori degli impianti CR e PS.

Le motivazioni di fondo di questa scelta sono, dopotutto, ancora poco chiare e costituiscono, ad oggi, uno dei focus principali di tutti i congressi scientifici.

Epidemiologia della complessità

L’evoluzione del complesso mondo della chirurgia protesica del ginocchio negli ultimi 50 anni, parallelamente ai risultati clinici pubblicati in letteratura e sui registri nazionali, ha cambiato il volto socio-culturale delle società moderne.

L’uomo è una creatura dotata di mobilità e la capacità di movimento è funzione indispensabile per il sostentamento delle sue funzioni vitali. Il mantenimento delle capacità di movimento, in età avanzata, rappresenta un presupposto indispensabile per il miglioramento della durata e della qualità di vita.

In questo può essere riassunto il merito della chirurgia protesica di anca e di ginocchio. Tale miglioramento si traduce nella capacità di mantenimento dell’autonomia per i pazienti più anziani, in un età in cui nel passato erano relegati alla perdita dell’autosufficienza con una ricaduta diretta sul sociale e indiretta sulla durata di vita. 

Questo upgrade nella qualità di vita, dunque, reso possibile dalla medicina moderna e dalle tecniche chirurgiche, ha un impatto non indifferente sul tessuto economico dei paesi.

Il grado di sviluppo socio economico dei singoli paesi, rappresenta un indicatore seppur indiretto dell’indice di complessità chirurgica attesa nel paese e del grado di accettazione da parte dei pazienti delle proprie patologie. Di fatti nelle società più industrializzate, mediamente dell’occidente, vi è un aumento delle indicazioni chirurgiche con spostamento progressivo delle indicazioni verso i primi stadi di degenerazione delle patologie.

Questo è la conseguenza dei buoni risultati offerti dalle tecniche chirurgiche evolutesi al parterre dei pazienti con elevate esigenze funzionali legate al cambiamento delle abitudini sociali e non più disposti a tollerare le patologie.

Una popolazione più attiva richiede maggiori attenzioni mediche e di conseguenza maggiore supporto chirurgico per poter mantenere pressochè inalterati i propri standard di vita. E gli standard di vita occidentali richiedono la possibilità di praticare sport fino a veneranda età.

Inoltre, come dato culturale oramai acquisito, in una società moderna più longeva non sono più tollerabili le barriere fisiche conseguenti all’invecchiamento non curato delle proprie articolazioni o ai risultati “scadenti” di tecniche chirurgiche diremmo “datate”. Si aggiunga che, le acquisizioni recenti in ambito di nutraceutica combinano il “wellness” in senso lato al rapporto tra alimentazione corretta ed esercizio fisico.

Questi elementi rappresentano un motore di ricerca continuo verso lo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate volte al soddisfacimento delle esigenze dei pazienti moderni.

Ne consegue che l’indice di complessità chirurgica di un paese è funzione del suo sviluppo socio economico e culturale.

Per cui la tipologia di indicazioni chirurgiche negli USA è ben diversa da quella Indiana. In altre parole il grado di deformità artrosica del ginocchio per cui un paziente in media si rivolge all’Ortopedico in India è ben diverso da quello per cui un analogo paziente della California decide di rivolgersi ad un ortopedico.

Cionondimeno ad oggi il mercato mondiale delle protesi di ginocchio è ancora massivamente orientato verso le protesi totali. Si calcola che tale mercato si aggiri intorno agli 8 Billion. Gli impianti primari di PTG rappresentano circa l’80% del totale mentre le Revisioni di PTG il 15% circa. Ad oggi la chirurgia compartimentale rappresenta ancora solo il 5% del totale.

E’ evidente che tali cifre, che fotografano la distribuzione planetaria delle indicazioni, sono l’effetto, da una parte, dell’orientamento della comunità scientifica mondiale e delle case protesiche degli ultimi 50 anni e, dall’altra, dell’orientamento socio-economico-culturale di paesi con fattore numerico determinante come Cina, India o Sud America. E’ ovvio che, stando così le cose, il mercato si muova ancora abbastanza lentamente dal momento che la leva economica che muove le aziende protesiche è massimamente indirizzata al mercato principale delle PTG.

Cionondimeno, parallelamente all’upgrade socio-economico e culturale, altri elementi, quali l’introduzione di nuove tecnologie, potranno portare una ulteriore e progressiva spinta alla redistribuzione del mercato protesico.

Tali dati, pertanto, sono destinati a cambiare! 

In Italia, ad esempio, dati del RIAP ( Registro Italiano delle Artroprotesi) mostrano, relativamente al 2016, una percentuale di PTG del 85% circa mentre le mono solo il 15% del totale.

I paesi emergenti quali la Cina e l’India che rappresentano il principale fattore numerico sono invece ancora profondamente legati ad una concezione datata per ragioni socio-economico e culturali molto complesse.

Le grandi deformità artrosiche, oggetto di grandi speculazioni scientifiche sulle tecniche chirurgiche e i risultati, che hanno caratterizzato la storia della chirurgia protesica  in  occidente degli ultimi 50 anni, mentre sono oramai rare da noi, rappresentano un focus principale in quei paesi.

La grande battaglia culturale sulla chirurgia mininvasiva e compartimentale degli ultimi venti anni ha portato ad un radicale cambiamento nella percezione della chirurgia protesica di ginocchio.

Di certo il processo di upgrade culturale ed economico spingerà nei prossimi anni, come è successo nell’occidente, verso una maggiore consapevolezza della patologia artrosica e delle possibili soluzioni alternative ma soprattutto più precoci rispetto ad una protesi totale.

Conclusioni

In linea di principio la scelta verso un tipo di impianto piuttosto che un altro, dovrebbe essere fondata su di una conoscenza a 360° degli impianti di ginocchio, ovverossia di tutti gli impianti disponibili, dalla mono alla totale. Comprese le implicazioni biomeccaniche ampiamente dimostrate in letteratura.

La logica, forse più corretta, dovrebbe far si che la scelta del tipo di impianto fosse sempre basata sul corretto “match” tra grado e tipo di degenerazione artrosica del singolo paziente da una parte e tipo di impianto disponibile dall’altra, tenendo sempre ben presenti le esigenze e le aspettative funzionali dei pazienti.

Alle nuove generazioni di chirurghi il compito di allargare i propri orizzonti culturali per una chirurgia via via più evoluta.